“CERIMONIA DI CONSEGNA DELLE MEDAGLIE D’ONORE: RENDIAMO GIUSTIZIA ALLA STORIA DIMENTICATA DEGLI IMI”
La consegna delle medaglie d’onore per gli IMI
Nella mattinata di lunedì 27 gennaio 2025 , nella solenne cornice della Sala del Consiglio della Provincia di Macerata, si è tenuta la cerimonia di conferimento delle Medaglie d’Onore ai familiari di quattro dei 650.000 militari italiani strappati alla loro Patria dopo l’8 settembre 1943, deportati e ridotti in schiavitù per sostenere l’industria bellica della Germania nazista.
A 80 anni da quegli eventi, abbiamo vissuto un momento di intensa commozione mentre il Presidente della Federazione di Macerata Albino Mataloni consegnava ai familiari degli insigniti gli attestati di benemerenza dell’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci (ANCR), rilasciati Presidente Nazionale Antonio Landi. Esprimiamo anche la nostra gratitudine per l’impegno del Prefetto Isabella Fusiello, del Presidente della Provincia Sandro Parcaroli (anche suo papà fu prigioniero di guerra deportato nei campi di lavoro nazisti) e del Rettore dell’Università di Macerata John Mc Court, che hanno tutti ribadito la necessità di non accantonare questo capitolo di storia — un capitolo drammaticamente misconosciuto e tuttora ignorato, perfino dai mezzi di informazione.
L’appello per la memoria degli IMI di ANCR Macerata
Le cifre parlano da sole: centinaia di migliaia di giovani deportati IMI, ovvero 650.000 internati militari italiani ridotti in schiavitù e costretti ai lavori forzati, annichiliti fisicamente dalla fame, dal freddo e dalle malattie. 50 mila non sopravvissero. Gli altri, riusciti a rientrare a casa a volte dopo molti anni (addirittura deportati una seconda volta nei gulag comunisti) al termine del conflitto, emarginati e dimenticati, nell’indifferenza generale. Oggi come allora, ci chiediamo: “Quale memoria possiamo costruire, se non conosciamo nemmeno i fatti?”
È desolante, infatti, constatare come buona parte della stampa abbia preferito glissare sugli appelli di ANCR sugli IMI lanciati nel suo intervento alla cerimonia dal Vice Presidente Provinciale Mauro Radici, lasciando nel silenzio quelle riflessioni che dovrebbero coinvolgere l’intera comunità civile, e non solo le autorità presenti. Ci chiediamo quindi per l’ennesima volta: è davvero questa la memoria che vogliamo tramandare, una memoria parziale, che esclude di fatto i sacrifici di tantissimi italiani, il dolore e le sofferenze delle loro famiglie?
Le immagini impresse nei racconti dei reduci della prigionia — piazzali e baracche ghiacciati battuti dal vento, mani scheletrite che stringono gavette vuote o arnesi di lavoro; reticolati dove la disperazione conviveva con un barlume di speranza — non possono rimanere un tema di nicchia.
La politica, nel corso dei decenni, ha avuto la sua parte di responsabilità, marginalizzando a lungo la vicenda degli IMI, combattenti “scomodi”. Ma oggi non è più tollerabile che stampa e la società civile non facciano la loro parte: rendere giustizia, dare la stessa voce data all’antisemitismo e alla shoah degli ebrei, e non confinare il ricordo di questi italiani in un ambito ristretto di addetti ai lavori.
Ci auguriamo che l’intenso discorso del Prefetto Fusiello, la testimonianza personale del Presidente della Provincia Parcaroli, le parole colte del Rettore Mc Court e la testimonianza delle nostre Associazioni non restino patrimonio esclusivo di pochi, ma possano contribuire a far emergere una storia di coraggio e di sofferenza collettiva, ancora colpevolmente sconosciuta.
Chiudiamo con l’appello di sempre: “Non lasciamo che l’oblio e l’indifferenza rendano vana la verità sugli IMI, che hanno pagato a carissimo prezzo la scelta di non piegarsi.”
L'intervento di Radici per ANCR con l'appello per gli IMI
«Se credete che i morti non abbiano più voce, ripensateci: perché è proprio la loro storia ad afferrarci per il bavero e a chiederci se abbiamo imparato qualcosa dalla loro sofferenza.»
Signor Prefetto, Signor Presidente, Magnifico Rettore, Autorità tutte e Cari concittadini,
in questa Giornata della Memoria porgo a Voi e innanzitutto ai familiari ed eredi dei deportati, il saluto commosso e sentito di tutte le Associazioni Combattentistiche e d’Arma, che con devozione e orgoglio custodiscono e tramandano le tradizioni e i valori delle nostre Forze Armate, per tenere vivi il ricordo e lo spirito di quanti hanno servito la Patria, anche nelle sue ore più buie.
L’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci è qui in particolare per ricordare coloro che ingannati o per scelta ma sempre con dignità e valore affrontarono violenze indicibili consumate su vagoni per trasporto bestiame, in baracche e piazzali gelidi; furono umiliati dall’annientamento dell’identità, torturati con la fame e annichiliti fisicamente dallo sfruttamento come schiavi ai lavori forzati. Nonostante le angherie subite e le immani sofferenze patite però, nessuno li piegò: né dentro i reticolati ghiacciati di un lager a migliaia di chilometri, né al rientro alla loro amata terra.
C’è ancora oggi chi si sente in diritto di alzare le spalle e dire: «Ma ancora ai morti pensate?» – quasi fosse un atto inutile risalire alle radici di una tragedia che, a ben vedere, ci appartiene ancora. Per noi queste Medaglie d’Onore sono molto di più di un risarcimento morale nei confronti delle vite di 650 migliaia di nostri concittadini, e di famiglie, straziate dall’odio e dall’indifferenza.
I nostri iInternati Militari, i nostri soldati schiavi, i nostri giovani di allora, furono abbandonati e isolati, prima dagli alti comandi e poi dall’intero loro Paese, che li accolse al ritorno non con fanfare e trionfi, bensì con indifferenza e sospetto, se non con l’oblio.
Ma a ben vedere loro fu probabilmente la resistenza, morale e umana, più eroica: certamente la prima, anche se non armata. Inoppugnabilmente, antinazista e antifascista.
In un’Italia ansiosa di voltare pagina, ricostruire e celebrare solo alcuni modelli di eroismo però, i reduci dei lager nazisti diventarono la «parentesi scomoda» da mettere tra parentesi e la loro divenne anche una resistenza silenziata. Mentre in ogni città si trasmetteva il racconto epico della resistenza armata, costoro restavano ai margini, come fosse vergognoso o indegno ammettere che i confini dell’eroismo potevano estendersi anche a chi, privo di divisa partigiana, aveva sì pagato con la deportazione e l’annientamento, ma MAI si era arreso.
Abbiamo il dovere di riconoscere che esistono stagioni della memoria che sono state distorte e manipolate dalla politica e persino da alcune associazioni partigiane, le quali hanno indirizzato l’attenzione pubblica verso un’unica narrazione di libertà, lasciando nell’ombra altri fronti di sacrificio e di coraggio. Mentre oggi in alcune città come Milano si vive la contraddizione di una «Giornata della Memoria» che paradossalmente divide la comunità ebraica da certe associazioni che rivendicano altre priorità, qui a Macerata noi vogliamo procedere in senso opposto, superando ogni barriera ideologica o culturale.
ANCR — dove dal 1947 la R sta proprio per “Reduci” in memoria di quei militari internati — chiede che nessuna ricostruzione storiografica, nessun dibattito pubblico, nessuna celebrazione possa più trascurare il loro sacrificio: hanno il diritto di vedere impresso nel tessuto della memoria nazionale il loro nome, la loro vicenda.
Non è solo un umano tributo alla loro sofferenza, ma un appello a costruire, giorno dopo giorno, la pace, la solidarietà e la piena partecipazione civica. Se vogliamo davvero far tesoro del passato, dobbiamo imparare a coinvolgere tutti gli attori sociali, i rappresentanti delle diverse fedi e culture, in un dialogo rispettoso e inclusivo, così da edificare una comunità capace di accogliere la complessità della storia, senza visioni riduttive o frammentate.
Per questo motivo, invito formalmente il Magnifico Rettore dell’Università e il Direttore dell’Istituto Storico qui presenti ad avviare progetti di ricerca congiunti, che ci restituiscano una memoria multidimensionale, non selettiva, dove l’analisi storica e l’umano sentire si fondano per il bene comune.
Per concludere, vorrei rispondere con fermezza a chi insinua che “bisognerebbe lasciar perdere il passato” che, se ignoriamo la memoria, ci condanniamo all’indifferenza e, di conseguenza, all’errore.
La storia non è un mosaico dove possiamo scegliere solo le tessere che ci piacciono, neanche quelle politiche. Se pretendiamo di dirci un Paese civile, se vogliamo essere orgogliosi della nostra eredità storica, dobbiamo tenere insieme tutti i frammenti, anche quelli meno noti o volutamente ignorati. Dobbiamo dare spazio a tutte le narrazioni e far risuonare ogni voce.
Altrimenti, invece di trovare il senso autentico di comunità cui una festa della Repubblica ci chiama, ci ritroveremo a combattere gli stessi fantasmi, e i nostri morti continueranno a pungolarci la coscienza, chiedendo, instancabili, che si scriva finalmente la verità intera.
Ora posso urlare: mai più guerra!
Vi ringrazio.